INTERVISTE

TUTTI I COLORI DEL GIALLO: INTERVISTA DI LUCA CROVI

Nessuno pensi male


Con la breve intervista che segue Gianni Paris ci presenta il suo “Nessuno pensi male” (Dario Flaccovio Editore) che ci guida fra i meandri della nuova criminalità proveniente dall’Oriente e che da tempo ha trovato un terreno fertile nel nostro Paese.

Com’è nata l’idea del romanzo?
Nella vita apparente, sono un avvocato. È accaduto così che io abbia avuto la fortuna di difendere, per uno strano percorso di passaparola, un boss cinese. Pazzo di curiosità, ho stretto un patto con lui. Gli ho detto, “Se mi racconti il sistema, il vostro sistema, giuro che ti difendo per pochi spiccioli”. La risposta che ho avuto si è trasformata nel libro che ora i miei lettori hanno in mano. E, in realtà, quello che volevo raccontare era ciò che io volevo scoprire. I funerali, le malattie, il traffico commerciale: be’, tutte queste situazioni vengono gestite dai cinesi in modo molto differente dal nostro. Il romanzo ne dà una risposta. Diciamo, ne dà una prospettiva noir. La storia che racconto nel romanzo è vera. Ho cambiato il nome ai protagonisti, alle comparse, ma è vera.

Che idea ti sei fatto della criminalità cinese?
Penso che i malavitosi cinesi siano davvero in gamba. Riuscire a creare il sistema sotterraneo di fabbriche e sottosistemi criminali di vario tipo, nonché curare gli affari interni delle famiglie affiliate alla triade (la mafia cinese), coi supporti economici e assistenziali che li contraddistinguono, è qualcosa che va oltre l’idea di malavita che siamo abituati a conoscere. Il modo in cui spariscono i loro corpi, una volta trapassati, dà l’idea che di famiglie Chang in Italia e nel mondo ce ne debbano essere diverse. Il sistema malavitoso, in stile Chinatwon, è di natura piramidale; i ruoli hanno, oltre al potere, la capacità di trascinarsi dietro l’essenza di una storia lunga e tortuosa. Oggi, quando penso ai cinesi, li vedo come uomini che hanno raggiunto una forza e una consapevolezza interiore che a noi italiani manca. Il loro spirito di adattamento, la loro capacità di abbattere i prezzi, li rende sempre più vicini a conquistare una fetta predominante del nostro mondo.

Che rapporti ha con la camorra italiana?
In una parola, i rapporti tra la mafia cinese e la camorra sono di una serena convivenza. La camorra ha bisogno dell’abilità cinese. Soprattutto nei traffici in ambito di realizzazione e confezionamento dei capi d’abbigliamento uomo-donna-bambino. C’è tra le due organizzazioni una barricata invisibile che evita gli scontri e i conflitti. L’una si serve dell’altra. L’esempio delle aste di abiti griffati il cui processo inizia e finisce grazie alla cooperazione di sarti cinesi e italiani non sarà un caso. Forse è proprio l’emblema di questa unione di intenti. Che poi vengano scovati dall’autorità giudiziaria e spogliati di ciò che è solo apparenza, si spiega nella loro poco attenzione ai particolari. I camorristi, così come i mafiosi cinesi, arrivano a pensare sempre all’idea dell’imbattibilità; si sentono imprendibili e proprio questo crea rilassamento e distrazione.

Perché hai voluto che il tuo Graziano Spichesi avesse un fisico da cinese?
Non tanto un fisico, ma una faccia cinese. Gli occhi, la loro piega, somigliano a quelli di un cinese. Il “disegno” del protagonista è stato così tracciato proprio per avvicinarmi, in maniera dettagliata e fattibile, a quella Sherazade involontaria. A lui il racconto cambia davvero il corso della vita. A forza di stare con Chang Li, di diventare il suo amico inseparabile, Spichesi ottiene la restituzione della sua anima e del suo corpo. Nonno Chang rivede negli occhi un po’ a mandorla di Graziano un suo vecchio amico, fondatore di imperi commerciali e di storia intima, tanto che si confonde fino a pregare per il suo futuro.

Come hai scelto l’ambientazione del libro?
Questo romanzo ha un protagonista su tutti, la mia città. Parlo di Avezzano come se fosse una donna. Tra le dediche, non ho scritto quella più importante, ovvero quella per la mia terra tremolante, che dà stabilità alle mie idee e al mio essere uomo. L’ambientazione della provincia, anziché della cinese Prato, la ritengo più giusta ai fini del delinquere. Vivere in una piccola realtà, dove i controlli sono davvero sommari, rende più agevole la vita per quei cinesi che si occupano di riciclaggio e di altri affari illeciti.

Come hai mediato con l’ironia i fatti terribili che racconti nel libro?
Il romanzo, all’inizio, era stato congegnato con uno sfondo ancora più ironico. Poi nella fase dell’editing, insieme a Raffaella Catalano (che ringrazio per tutte le sue dritte e per tutte le sue garbate contestazioni), abbiamo optato per ridurre l’ironia e tanta ‘ulteriore’ spensieratezza di Spichesi, fino a bilanciare i due piani (drammatico e comico). Ovviamente, i fatti terribili che narro vengono sopportati meglio dal lettore, che coglie nell’inconsapevolezza di Graziano l’ancora di salvezza di ogni esistenza.

Adesso mangi volentieri in un ristorante cinese?
Giorni fa sono entrato in un ristorante cinese nella mia città insieme ad Emanuele Barresi, il regista che trasformerà Nessuno pensi male in un film per il cinema. Ebbene, dallo sguardo sinistro del cameriere-padrone, ho capito che d’ora in avanti il Maiale alla Wok lo ordinerò per interposta persona…

LUCA CROVI
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